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PLUTARCO,
"VITA DI DEMOSTENE"
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I |
1 L'autore del panegirico ad Alcibiade,
scritto in occasione della vittoria nella corsa dei carri ad Olimpia - e non importa, caro
Sosio Senecione, se si trattò di Euripide, come sostengono in molti, o di qualcun altro
-, afferma che la prima condizione per essere felici è essere nati in una "città
illustre"; io invece credo che per chi va alla ricerca del vero benessere, la cui
essenza risiede nel carattere e nella disponibilità d'animo, non faccia alcuna differenza
essere originari di una patria umile e per nulla famosa, proprio come non lo fa essere
figli di una donna brutta e piccola di statura. 2 A questo proposito, sarebbe
semplicemente ridicolo se si pensasse che Iulide, una piccola parte della non grande isola
di Ceo, o Egina, che un tale in Attica voleva addirittura spazzar via, quasi fosse un
bruscolino nell'occhio del Pireo, possano sì dare i natali a bravi attori e poeti, e non,
magari, a un uomo responsabile ed onesto, dotato di raziocinio e animo nobile. 3
Certo, è naturale che nei centri piccoli e sconosciuti non fioriscano le attività
connesse con gli alti guadagni e il prestigio; ma la virtù, come un robusto sempreverde,
mette radici ovunque, purché trovi una natura generosa e un animo capace di sopportare la
sofferenza. 4 Allo stesso modo non è corretto attribuire la responsabilità di un
comportamento dissoluto e poco razionale al fatto di essere nati in una piccola città:
nel caso, i soli colpevoli siamo noi. |
II |
1 Ma se si vuole scrivere un'opera di
storia, che non sia esclusivamente documentata su testi che si hanno in casa, di facile
consultazione, bensì sui numerosi altri libri sparsi un po' ovunque, in paesi stranieri,
allora sì che conviene abitare in una "città illustre", amante del bello e ben
frequentata: oltre a poter disporre in abbondanza di testi di ogni sorta, ci si potrà
avvalere di dati più precisi conducendo inchieste ed ascoltando il racconto della gente,
basato sui ricordi, raccogliendo quanto è sfuggito agli scrittori. 2 Nel mio caso,
io vivo in una piccola città e vi resto volentieri per non contribuire al suo calo
demografico. Quando fui a Roma o qua e là per l'Italia, non trovai mai il tempo di
esercitarmi nella lingua romana, sia per impegni politici sia per le lezioni di filosofia
che impartivo; e così ho iniziato a leggere libri in latino piuttosto tardi, già avanti
con gli anni. 3 E si è verificata una cosa incredibile ma vera: non mi è capitato
spesso di prendere coscienza dei fatti leggendo le parole che ne fornivano spiegazione,
quanto, invece, il contrario: se, cioè, conoscevo già in qualche modo il fatto in
questione, grazie a questo ne capivo meglio anche i vocaboli. 4 Sono convinto,
però, che sarebbe utile e per nulla spiacevole poter cogliere anche la bellezza e il
ritmo dello stile latino, le metafore, la disposizione armonica delle parole e gli altri
accorgimenti che rendono celebre il discorso; ma lo studio della lingua e gli esercizi ad
esso connessi non sono affatto semplici: conviene, quindi, che coltivi simili ambizioni
chi ha tempo a disposizione e gode del beneficio dell'età. |
III |
1 Perciò, anche nella stesura di questo libro, il quinto delle Vite
parallele, che tratta di Demostene e Cicerone, cercherò di esaminare e mettere a
confronto la natura e la disposizione d'animo dei suddetti personaggi, fondandomi sulle
loro azioni e sulla loro partecipazione alla vita politica dello Stato; tralascerò,
invece, di stabilire un paragone tra le loro capacità oratorie, tentando di dimostrare
chi fosse più abile con le parole e più piacevole all'ascolto. 2 Ione dice che
"la forza del delfino è vana a terra"; ma Cecilio, sempre eccessivo in tutte le
sue cose, sembrò ignorare la veridicità del detto e, con la baldanza tipica di un
giovane, fu autore di un confronto tra l'arte oratoria di Demostene e quella di Cicerone.
D'altra parte, se fosse stato così semplice per chiunque cogliere il messaggio contenuto
nel "conosci te stesso", non lo si sarebbe neanche considerato un precetto di
origine divina. 3 Sembra che il dio, quando al principio fece di Cicerone un
secondo Demostene, ispirò nella sua natura molte delle caratteristiche dell'altro -
l'amore per la gloria e per la libertà nell'impegno politico, un atteggiamento codardo
nei confronti di pericoli e guerre -, ma volle rendere simili anche parecchi altri casi
delle loro vite. 4 Credo, ad esempio, che non si trovino altri due oratori i quali,
da sconosciuti ed insignificanti che erano, furono capaci di assurgere a tanta grandezza
da opporsi a re e tiranni; due che persero una figlia, vennero scacciati dalla loro patria
e vi tornarono a testa alta; due costretti dai loro nemici a fuggire di nuovo e poi
catturati e uccisi, mentre anche per i loro concittadini andava morendo la libertà; 5
e così, se si ingaggiasse una gara tra la natura e la sorte, quasi fossero due artisti,
risulterebbe difficile stabilire se a rendere più simili Demostene e Cicerone sia stata
l'una con le sue qualità o l'altra con le sue circostanze. Ma, anzitutto, bisogna parlare
del più antico. |
IV |
1 Secondo la testimonianza dello
storico Teopompo, il padre di Demostene - Demostene pure lui - apparteneva ad una famiglia
ricca e ragguardevole, ma era soprannominato "lo Spadaio" perché aveva una
grande fabbrica di armi e parecchi operai, tutti schiavi. 2 Quanto alla madre,
Eschine, l'oratore, racconta che era figlia di un tal Gilone, esiliato dalla città con
l'accusa di tradimento, e di una donna straniera; io, però, non saprei dire se la sua
testimonianza è sincera o se si è inventato tutto per screditare l'avversario. 3
Comunque, la scomparsa del padre quando Demostene aveva solo sette anni, lo lasciò in una
condizione economica particolarmente agiata: l'intero patrimonio delle sue sostanze
ammontava, infatti, a poco meno di quindici talenti, ma lo mandarono in rovina i suoi
tutori, che in parte dilapidarono i suoi averi, in parte se ne disinteressarono, arrivando
addirittura a non pagare il compenso ai suoi maestri. 4 Pare che sia questo il
motivo per cui rimase un ragazzetto ignorante, privo di quegli insegnamenti che ben si
addicono ad un giovane di condizione libera; a ciò si aggiungano una certa debolezza e
gracilità fisica che indussero la madre a risparmiargli attività faticose e i suoi
pedagoghi ad evitargli qualunque sforzo mentale. 5 Fin dalla nascita, infatti, fu
un bambino magrissimo e un po' malaticcio: a questo proposito si racconta che i suoi
compagni, per prenderlo in giro, appioppavano al suo corpicino l'appellativo offensivo di
"Batalo". 6 C'è chi afferma che Batalo fosse il nome di un flautista
effeminato, scelto da Antifane come protagonista di un suo breve dramma comico. Altri,
invece, ricordano un tal Batalo poeta, autore di versi lascivi e conviviali. 7 In
realtà, sembra che gli Ateniesi indicassero con questo termine una parte del corpo che
non è qui il caso di precisare. 8 Il soprannome di Argas - perché dicono che lo
chiamassero anche così - fu dato a Demostene per via del suo carattere scontroso e
pungente (non a caso alcuni scrittori si servono del termine per definire il serpente);
forse, invece, si faceva allusione al suo modo di parlare, davvero fastidioso per chi
ascoltava: Argas, infatti, era anche il nome di un poetastro che aveva composto versi
scadenti e noiosi. E questo è quanto si può dire a proposito dei suoi soprannomi. |
V |
1 Per quel che riguarda, invece, la prima
occasione in cui si sentì attratto dall'oratoria, si narra quanto segue. Il retore
Callistrato si stava preparando a discutere in tribunale la causa a proposito della
questione di Oropo; l'attesa per il processo era grande perché Callistrato vantava fama
di abilissimo oratore, giunto allora ai vertici della carriera, ed anche l'argomento
suscitava vivo interesse per la sua attualità. 2 Demostene, quindi, avendo sentito
dire che maestri e precettori si erano accordati per assistere tutti al processo, fu preso
dalla smania di parteciparvi: con insistenti preghiere riuscì, così, a convincere il suo
insegnante a farsi accompagnare in aula. 3 E questi, che conosceva bene gli uscieri
del tribunale, gli trovò un posticino dove il fanciullo potesse starsene seduto ad
ascoltare di nascosto gli oratori. 4 Davanti al grande successo di Callistrato e
alla profonda ammirazione che il suo discorso suscitò, Demostene sentì vivo il desiderio
di eguagliare quella gloria, soprattutto quando un corteo di persone si affollò intorno a
lui per accompagnarlo e complimentarsi; ma ancor di più lo colpì il potere della parola,
la sua forza nel soggiogare e ammansire chiunque. 5 E così, abbandonati gli altri
studi e i divertimenti giovanili, si dedicò tutto all'oratoria, esercitandosi
costantemente per diventare anche lui un bravo retore. 6 A quei tempi era
Isocrate33 a gestire una buona scuola di arte oratoria, ma Demostene frequentò quella di
Iseo: c'è chi sostiene che la scelta fu determinata dal fatto che il giovane orfano, per
la precaria situazione economica, non poteva pagare all'illustre maestro le dieci mine del
compenso; forse, invece, sentiva più vicina alle sue esigenze la parola di Iseo, energica
e pratica. 7 Ermippo, al contrario, narra di aver letto su alcuni testi anonimi che
Demostene fu discepolo di Platone, dai cui discorsi trasse utilissimi insegnamenti;
ricorda, poi, la testimonianza di Ctesibio, secondo cui Demostene studiò le Arti
retoriche di Isocrate e quelle di Alcidamante, che Callia di Siracusa e altri amici
gli avevano portato di nascosto. |
VI |
1 Raggiunta, quindi, la maggiore età,
per prima cosa intentò una causa e compose arringhe di accusa contro i suoi tutori, che,
dal canto loro, cercavano scappatoie e pretendevano revoche giudiziarie. Si esercitò con
tenacia tra i pericoli, come direbbe Tucidide; tuttavia, pur avendo vinto con successo la
causa, poté recuperare solo una piccolissima parte dei beni paterni. Ma ormai parlare in
pubblico non gli incuteva più paura, anzi ne aveva assaporato il gusto, perché aveva
sperimentato l'onore e il credito che si acquistano nei tribunali; volle, quindi,
diventare un personaggio pubblico ed occuparsi degli affari di Stato. 2 Gli capitò
la stessa sorte di Laomedonte di Orcomeno, a cui narrano che i medici avessero prescritto
di praticare lunghe corse se voleva guarire da una malattia alla milza; e così, grazie a
costante esercizio, fu in condizione di partecipare alle gare con la corona in palio, e di
diventare addirittura campione nelle corse più lunghe. Lo stesso accadde a Demostene: in
un primo tempo mise la sua oratoria al servizio dei suoi affari privati per trarne
guadagno; in séguito, acquisita una certa sicurezza e reso vigoroso il suo discorso, si
dedicò alle cause politiche e diventò il primo tra tutti i cittadini che parlavano dalla
tribuna, proprio come se si fosse trattato delle corse per la corona. 3 Tuttavia,
la prima volta che parlò in pubblico dovette vedersela con il giudizio del popolo e con
le sue grida di disapprovazione: fu anche deriso per la sua inesperienza perché nel
discorso i periodi sembravano troppo confusi, i ragionamenti lambiccati e contorti. 4
Inoltre, da quel che sembra, non lo aiutavano certo una voce debole, una pronuncia poco
chiara e il respiro corto e affannoso che, rompendo la fluidità del periodare, inficiava
l'intelligenza dei pensieri esposti. 5 Al termine di quell'esperienza fallimentare,
si allontanò dalla folla e girovagò per il Pireo, in preda allo sconforto; fu là che lo
notò Eunomo Triasio, già molto vecchio, e lo rimproverò duramente perché, pur avendo
un'eloquenza in tutto e per tutto simile a quella di Pericle, tradiva le sue qualità per
vigliaccheria e mollezza, incapace di affrontare da uomo gli umori della folla e di
esercitare il suo corpo allo scontro verbale: anzi, con quel suo fare effeminato perdeva
progressivamente vigore. |
VII |
1 Un'altra volta, poi, raccontano che,
mentre se ne tornava a casa, profondamente triste ed afflitto dopo l'ennesimo insuccesso,
fu raggiunto da Satiro, un attore suo amico, che si unì a lui nel cammino. 2
Demostene, allora, cominciò a lamentarsi con il compagno perché, pur essendo il più
preparato di tutti gli oratori, al punto che ci stava quasi rimettendo la salute a forza
di fare esercizio, non incontrava il favore del popolo: nessuno teneva in conto le sue
parole, mentre ubriaconi, marinai pure ignoranti venivano ascoltati e tenevano tribuna. 3
"Hai perfettamente ragione, Demostene", gli rispose Satiro, "ma io saprò
porre velocemente rimedio al tuo problema se vorrai recitarmi a memoria un passo di
Euripide o di Sofocle". 4 Demostene, allora, gliene ripeté uno, che Satiro
gli ripropose modulandolo e ripercorrendolo con tanta attenzione per la natura del
personaggio e il suo stato d'animo, da farlo sùbito apparire a Demostene tutt'altra cosa.
5 Persuaso, quindi, di quanto il saper porgere contribuisse ad abbellire e rendere
elegante il discorso, maturò la convinzione che poco o niente contava l'esercizio se si
trascuravano la pronuncia e l'arte di disporre le parole. 6 In séguito si fece
costruire un piccolo studio sotterraneo, conservato ancora ai tempi nostri; là scendeva
regolarmente tutti i giorni e si esercitava provando l'intonazione e la tonalità della
voce. Spesso ci si fermava anche due o tre mesi di séguito, non senza essersi prima
rasato parte della testa perché gli fosse impossibile uscire per la vergogna di
presentarsi in pubblico,53 neanche se lo avesse desiderato vivamente. |
VIII |
1 Ma non è tutto: pure le due
chiacchiere scambiate con gli estranei, le conversazioni, la trattazione di affari privati
costituivano per lui una buona occasione per esercitarsi nell'arte oratoria. Infatti, non
appena si liberava dagli impegni, sùbito scendeva nel suo studio, e lì ripercorreva,
ricostruendone l'ordine, le tesi discusse in precedenza, le argomentazioni a favore e
quelle contro. 2 Ancora, ripensava ai discorsi che aveva sentito fare e li ripeteva
servendosi di espressioni eleganti e di un periodare scorrevole; inoltre, apportava
correzioni e cambiamenti di ogni genere a quanto gli era stato detto o lui stesso aveva
raccontato ad altri. 3 Fu in séguito a questo tipo di condotta che si guadagnò la
fama di non essere magari particolarmente dotato di natura, ma di dovere la sua
riconosciuta abilità in campo oratorio e il suo successo a un esercizio faticoso e
costante. Sembrava esserne prova convincente il fatto che non era facile riuscire ad
ascoltare Demostene mentre improvvisava un discorso: più di una volta il popolo lo aveva
sollecitato a farlo, chiamandolo per nome, mentre se ne stava seduto in assemblea, ma lui
non saliva in tribuna, a meno che non si fosse precedentemente preparato e avesse pronto
qualcosa. 4 Per questo furono molti i demagoghi a deriderlo: Pitea, ad esempio, per
prendersi gioco di lui disse che i suoi ragionamenti puzzavano di lucignolo; Demostene,
allora, gli rispose seccato: 5 "Sì, ma la mia lucerna e la tua, Pitea, non
assistono al medesimo lavoro". 6 Con gli altri non negava certo l'evidenza dei
fatti, ma ammetteva che i suoi discorsi non erano scritti per esteso, e che neanche
parlava senza proprio scriverli. E poi aggiungeva che chi si esercita ad esporre è un
uomo che il popolo ama, perché questa fase di preparazione va vista come un gesto di
grande considerazione nei confronti della massa; l'oligarca, invece, non si preoccupa di
sapere quale sarà la reazione della gente al suo discorso, dato che preferisce
raggiungere i suoi scopi con la forza più che con la persuasione. 7 Si avanza
anche un'altra testimonianza del suo riserbo nell'improvvisare in pubblico: in più di
un'occasione Demade fu pronto ad alzarsi in piedi e a prendere le sue difese,
improvvisando tra lo schiamazzo della folla; Demostene, al contrario, non ricambiò mai il
favore a Demade. |
IX |
1 Perché, allora - ci si potrebbe
domandare -, Eschine lo definisce "l'uomo più ammirabile per l'audacia dei suoi
discorsi"? Come mai fu il solo ad alzarsi per prendere la parola contro Pitone di
Bisanzio, che scagliava pesanti accuse contro gli Ateniesi? E quella volta che Lamaco di
Smirne lesse ad Olimpia l'elogio da lui scritto per i re Alessandro e Filippo, zeppo di
ingiurie contro Tebani e Olinti? Non si levò in piedi e dimostrò con fatti ed esempi
quanto bene avessero fatto alla Grecia Tebani e Calcidei, e, al contrario, di quali gravi
danni fossero responsabili i sostenitori dei Macedoni? Fu così che riuscì a smuovere gli
animi dei presenti, al punto da fare allontanare zitto zitto dall'assemblea il filosofo,
seriamente preoccupato per quel trambusto. 2 È vero, il suo modello fu Pericle, ma
non sembra aver fatto sue tutte le qualità dello statista, anzi, ne ammirò ed imitò
solo quelle che lo avevano reso grande: l'intonazione della voce, ad esempio, il suo modo
di esprimersi, il suo netto rifiuto a parlare velocemente o ad improvvisare. Era
decisamente contrario alla gloria del momento e, per quel che poteva dipendere da lui, non
affidò al caso il successo in campo oratorio. 3 Infatti, se si deve prestar fede
ad Eratostene, a Demetrio Falereo e ai commediografi, i discorsi da lui pronunciati
avevano molta più forza e vigore di quelli messi per iscritto. 4 Più
precisamente, Eratostene sostiene che nel declamare le sue orazioni spesso Demostene
sembrava preso dal furore bacchico; secondo il Falereo, un volta, come un invasato,
prestò al popolo un giuramento solenne, rimasto famoso, che forma un verso metricamente
perfetto:
"Per la terra, le
fonti, i fiumi, i rivi".
5 Invece, uno dei poeti comici lo definisce "volgare cialtrone";
un altro, prendendo di mira l'uso che Demostene fa delle antitesi, fa parlare così due
dei suoi personaggi:
"Come prese,
riprese". - "Se la conoscesse,
questa frase piacerebbe
a Demostene".
6 A meno che, in nome degli dèi, Antifane non faccia qui scherzoso
riferimento all'orazione pronunciata in difesa di Alonneso, quando Demostene consigliava
agli Ateniesi non di prendere, ma di riprendere l'isola a Filippo, giocando sull'aggiunta
di una sillaba. |
X |
1 D'altra parte, era convinzione comune
che Demade, grazie alle sole capacità naturali, fosse imbattibile in tribunale e che gli
bastasse improvvisare per spazzar via tutte le elucubrazioni di Demostene e i suoi
discorsi preconfezionati. 2 Aristone di Chio riferisce anche un'opinione di
Teofrasto a proposito di questi due retori: richiesto, infatti, di spiegare che tipo di
oratore gli sembrasse Demostene, rispose: "Uno degno della sua città"; al
medesimo quesito su Demade, precisò: "Troppo in gamba per la città". 3
Lo stesso filosofo racconta che secondo l'opinione di Polieucto di Sfetto, uno dei
politici ateniesi di allora, Demostene era sì un grandissimo retore, ma quello veramente
capace a parlare era Focione, perché con pochissime parole riusciva ad esprimere numerosi
concetti. 4 Narrano che persino lo stesso Demostene, ogni qualvolta Focione saliva
sulla tribuna per replicare al suo discorso, rivolto agli amici dicesse: "Ecco che si
leva la scure delle mie parole". 5 Non è però chiaro se Demostene si
riferisse alle qualità oratorie del rivale o piuttosto alla fama che si era guadagnato
conducendo una vita onesta: era, infatti, convinto che una sola parola o un cenno di capo
di un uomo che gode di grande fiducia, avesse molto più peso di tanti interminabili
discorsi. |
XI |
1 Per correggere i suoi difetti fisici
svolgeva regolarmente il seguente esercizio (a raccontarcelo è Demetrio Falereo, che
sostiene di averlo appreso proprio da Demostene, ormai vecchio): per porre rimedio a una
pronuncia poco chiara e alla balbuzie e riuscire ad articolare bene le parole, si infilava
in bocca dei sassolini e contemporaneamente declamava qualche passo; volendo, inoltre,
rinforzare anche la voce, faceva conversazione mentre correva o si inerpicava per qualche
salita e intanto, tutto d'un fiato, proferiva discorsi o versi. A casa, poi, aveva un
grande specchio, davanti a cui si collocava e preparava i suoi interventi. 2 Si
narra di un cliente che una volta si recò da lui perché aveva bisogno della sua difesa,
e gli raccontò che un tizio lo aveva preso a pugni. "No, tu non hai sofferto nulla
di quel che dici", commentò Demostene. L'uomo, allora, alzò il tono e si mise a
gridare: "Cosa, Demostene? Non sono stato picchiato?". "Ora sì, per Giove,
che sento la voce di uno che ha subito un torto e ne sta soffrendo!", concluse
l'oratore. 3 Si era, infatti, convinto che, per risultare credibile, fosse di
estrema importanza l'intensità del tono della voce con cui si pronunciavano i discorsi.
Per questo il suo modo di declamare piaceva moltissimo alle masse, mentre i raffinati, tra
cui anche Demetrio Falereo, consideravano la sua arte volgare, bassa, quasi roba per
donnette. 4 Ermippo racconta che una volta a Esione fu chiesto un parere sugli
oratori di un tempo e su quelli a lui contemporanei: rispose che ad ascoltare i vecchi
retori, che parlavano al popolo con tanta eleganza e signorilità, c'era da restarne
ammirati, ma si sentiva nettamente la differenza se si leggevano i discorsi di Demostene,
sia per lo stile sia per il vigore. 5 Perché continuare a ripetere che le orazioni
da lui messe per iscritto erano davvero dure e pungenti? Piuttosto, è bene ricordare che
nelle risposte improvvisate sapeva anche essere divertente. "Avrei da imparare da
Demostene proprio come Atena da un porco", disse una volta Demade. "L'Atena di
cui parli l'hanno sorpresa a letto con l'amante proprio l'altro giorno, a Collito",
fu la risposta di Demostene. 6 C'era, poi, un ladro, soprannominato il Bronzino,
che provava a prendersi gioco di lui, deridendo le notti passate in bianco a scrivere
discorsi. "Lo so che ti do fastidio a tenere accesa la lucerna", controbatté
l'oratore, "e voi, Ateniesi, non stupitevi dei furti che avvengono all'ordine del
giorno, visto che abbiamo ladri con la faccia di bronzo e muri fatti d'argilla". 7
Di aneddoti divertenti come questi ne abbiamo ancora da raccontare, e parecchi; ma per il
momento fermiamoci qui e passiamo, come è giusto, a parlare delle sue qualità e del suo
carattere sulla base del suo operato e della sua militanza al servizio dello Stato. |
XII |
1 Il suo esordio in politica, come lo
stesso Demostene ci attesta, fu contemporaneo allo scoppio della guerra focese; lo si può
anche desumere dalle sue Filippiche, 2 scritte quasi tutte quando ormai
quegli avvenimenti si erano conclusi, mentre le prime si riferiscono ancora agli ultimi
strascichi del combattimento. 3 Non è un mistero che quando fu pronto a difendere
la propria causa contro Midia, avesse già trentadue anni e non fosse né famoso né
influente nella vita politica di Atene. 4 Fu principalmente questa sua condizione
che, a mio avviso, lo indusse per paura ad accettare denaro dall'uomo che aveva accusato e
a desistere dal suo odio verso di lui. Demostene, infatti,
"non era una
persona dolce né mite",
anzi, quando si trattava
di vendicarsi, si rivelava audace e violento. 5 In questo caso, però, si rese
conto che non era impresa da poco, e comunque superiore alle sue possibilità, avere la
meglio su Midia, così ben fornito di ricchezze, di cervello e di amici; finì, quindi,
con il cedere alle richieste di chi intercedeva per lui. 6 Tuttavia, di per sé
quelle tremila dracme non mi sembra che avrebbero potuto smorzare la collera di Demostene,
se solo avesse avuto la speranza o i mezzi concreti per uscirne vincitore.
7 Scelta, quindi, la difesa del popolo greco contro la figura di Filippo
quale nobile punto fermo della linea politica da seguire, si impegnò strenuamente per
raggiungere il suo scopo e divenne ben presto famoso: a renderlo illustre contribuirono i
suoi discorsi e la piena libertà di parola, al punto che in Grecia lo si ammirava, il
Gran Re corteggiava il suo talento e anche Filippo lo stimava moltissimo, più di quanto
facesse con gli altri capipopolo di Atene. Persino i suoi avversari riconoscevano di
doversela vedere in tribunale con un uomo ormai famoso: 8 ce lo testimoniano, pur
muovendogli accuse, gli stessi Eschine e Iperide. |
XIII |
1 Perciò, non so proprio come a
Teopompo sia saltato in mente di dire che Demostene avesse un carattere instabile e
totalmente incapace di tener fede per lungo tempo a un'amicizia o ad un impegno preso; 2
al contrario, sino alla fine dei suoi giorni, mantenne inalterata la scelta politica fatta
in gioventù e conservò la posizione raggiunta nel governo dello Stato: anzi, si può
dire che non solo non cambiò bandiera nel corso della sua esistenza, ma addirittura
rinunciò a vivere per non essere costretto a tradire i suoi ideali. 3 Non seguì
l'esempio di Demade che, chiamato a difendersi per i suoi voltafaccia politici, si
giustificò dicendo di essersi spesse volte contraddetto, ma di non averlo mai fatto
quando di mezzo c'era la città; né di Melanopo, avversario politico di Callistrato, che
pure ogni tanto passava dalla sua parte per denaro e poi, di solito, spiegava al popolo:
"È un mio nemico, ma prima di tutto viene l'interesse di Stato"; 4 e
neanche di Nicodemo di Messene il quale, legato in un primo tempo a Cassandro e
schieratosi, poi, dalla parte di Demetrio, affermò che non si stava contraddicendo,
perché è sempre vantaggioso chinare il capo ai potenti. Di Demostene non si può dire
altrettanto: non piegò la voce, non deviò dal cammino intrapreso, ma, come da una scala
musicale si può trarre sempre la medesima tonalità, unica ed immutabile, così, con la
stessa energia, combatté sempre le sue battaglie in politica. 5 Il filosofo
Panezio sostiene che la maggior parte dei suoi discorsi fu scritta per dimostrare la
necessità di ricercare la virtù per quello che essa vale: informati a questo principio,
sarebbero state composte l'orazione Per la corona, quella Contro Aristocrate,
quella Per le esenzioni e le Filippiche. 6 I suoi discorsi non sono
per il cittadino una comoda guida al piacere, alla leggerezza, ai facili guadagni, ma ci
si legge dentro il pensiero di Demostene e cioè che spesso occorre mettere in secondo
piano incolumità e salvezza rispetto a virtù e dovere; e se alla nobiltà dei propositi
e all'altissima qualità dell'oratoria si fossero aggiunti valore in guerra e onestà di
fondo in ogni suo gesto, sarebbe stato degno di venire annoverato non nella cerchia di
oratori come Merocle, Polieucto e Iperide, ma ben più in alto, con Cimone, Pericle e
Tucidide. |
XIV |
1 Tra i suoi contemporanei Focione, che
pure seguiva una linea politica alquanto discutibile perché si atteggiava a filomacedone,
grazie, però al suo coraggio e ad un forte senso di giustizia, non sembrava affatto
possedere qualità inferiori a un Efialte, a un Aristide o a un Cimone. 2
Demostene, invece, dice Demetrio Falereo, non ispirava fiducia con un'arma in mano e non
era neanche un tipo del tutto incorruttibile, perché, se si trattava di Filippo o della
Macedonia, non si lasciava tentare, mentre era sensibile al profumo dei soldi, anzi se ne
inebriava, quando l'offerta partiva dal cuore dell'Asia, da Susa o da Ecbatana: eppure era
bravissimo a tessere le lodi della virtù degli antichi, un po' meno a imitarla. 3
Nonostante tutto, però, fatta eccezione per il solo Focione, risultò il migliore tra gli
oratori vissuti ai suoi tempi, grazie anche alla sua condotta di vita: sappiamo che si
rivolse al popolo sempre con la massima franchezza, cercando di contenere le passioni
della folla e facendo guerra agli errori di quella, come si può comprendere leggendo i
suoi discorsi. 4 Anche Teofrasto ce lo testimonia, quando scrive che una volta gli
Ateniesi lo spinsero a muovere una certa accusa contro un imputato, ma lui non diede
ascolto alle loro proteste chiassose; alla fine, alzatosi in piedi, prese la parola:
"Voi, cittadini di Atene, potrete sempre contare sul mio consiglio disinteressato,
anche se non lo vorrete; ma sicofante mai, nemmeno se fosse il vostro ultimo
desiderio". 5 Anche quando si occupò del caso Antifonte, rivelò una natura
fondamentalmente aristocratica: benché, infatti, l'imputato fosse stato assolto
dall'assemblea popolare, Demostene lo fece arrestare e lo condusse al cospetto dei giudici
dell'Areopago; quindi, senza minimamente considerare le urla di disapprovazione della
folla, lo accusò di avere promesso a Filippo di dar fuoco agli arsenali. E così
Antifonte, consegnato dal tribunale alla giustizia, fu condannato a morte. 6 Sotto
inchiesta finì pure la sacerdotessa Teoride perché, tra le numerose altre colpe,
Demostene la accusava di insegnare agli schiavi a tradire i loro padroni: anche per lei ci
fu la pena capitale. |
XV |
1 Si racconta, inoltre, che anche il
discorso contro lo stratego Timoteo, di cui si servì Apollodoro per condannarlo a saldare
il suo debito, lo scrisse Demostene per il suo cliente, come pure compose le orazioni
contro Formione e Stefano, che, però, giustamente non lo resero molto popolare. 2
Formione, infatti, si era già difeso dalle accuse di Apollodoro proprio con un discorso
di Demostene, che si comportò, quindi, esattamente come un armaiolo che vendesse nello
stesso tempo coltelli di sua produzione a due nemici, perché si scannassero tra loro. 3
Quanto, invece, alle orazioni pubbliche pronunciate contro Androzione, Timocrate e
Aristocrate, fu sempre lui a scriverle, ma per conto di altri, perché allora non
partecipava ancora attivamente alla vita politica: pare, infatti, che avesse trentadue o
trentatré anni quando compose quei discorsi. Quelli contro Aristogitone, invece, li
pronunciò lui stesso in tribunale, come pure le orazioni Sulle esenzioni per
Ctesippo, figlio di Cabria: questa è la sua versione dei fatti, ma c'è chi sostiene che
Demostene fosse innamorato della madre del ragazzo. 4 Tuttavia, non fu lei che
sposò: secondo la testimonianza contenuta nell'opera sui sinonimi di Demetrio di
Magnesia, Demostene prese in moglie una donna di Samo. 5 Non è chiaro se l'arringa
contro Eschine a proposito della sua ambasceria a tradimento fu mai presentata in
tribunale, per quanto Idomeneo sostenga che l'imputato ne uscì assolto per soli trenta
voti. A giudicare, però, dalle orazioni Per la corona, scritte dai due avversari,
non sembra che le cose siano andate proprio così: 6 nessuno di loro, infatti, si
riferisce con precisione e puntualità a quella lite, trascinatasi, poi, in tribunale. Ma
saranno altri studiosi a decidere la questione, esprimendo un parere più autorevole del
mio. |
XVI |
1 La linea politica di Demostene era
evidente già ai tempi della pace tra Filippo e la Grecia, perché l'oratore non
tralasciava di criticare qualunque azione del Macedone, e anzi ad ogni occasione
infiammava gli animi degli Ateniesi, attizzandoli contro di lui. 2 Per questo anche
alla corte di Filippo se ne aveva grandissima stima: quando, ad esempio, si recò in
Macedonia come uno dei dieci ambasciatori della sua città, è vero che Filippo li
ascoltò tutti, ma rispose con particolare attenzione solo all'intervento di Demostene. 3
Per il resto, però, non gli riservò il medesimo trattamento di favore, offrendogli, ad
esempio, dimostrazioni di stima e di affetto sincero, ma preferì ingraziarsi uomini come
Eschine e Filocrate. 4 Appena questi due incominciarono a tessere le lodi di
Filippo, esaltando la sua eloquenza spedita, il suo fisico bello e prestante e persino la
sua passione per il vino, Demostene fu preso dalla voglia di gettare il ridicolo sui suoi
avversari e sui loro stupidi elogi: il primo degno di un sofista, il secondo di una donna,
il terzo di una spugna. Insomma, niente a che vedere con l'encomio di un re. |
XVII |
1 Quando la tensione, divenuta
insostenibile, sfociò in una guerra, perché da una parte Filippo non poteva mantenere la
situazione tranquilla, dall'altra Demostene risvegliava l'amor patrio negli animi degli
Ateniesi, come prima mossa l'oratore spinse i suoi concittadini ad occupare l'Eubea,
sottomessa alla volontà di Filippo che si serviva per questo di tiranni; e gli Ateniesi,
sbarcati sull'isola una volta approvata la proposta di Demostene, la liberarono dalla
presenza dei Macedoni. 2 In un secondo momento fece inviare aiuti agli abitanti di
Bisanzio e di Perinto, assediati dal Macedone: per far questo, però, dovette convincere
il popolo a deporre l'odio che nutriva verso le due città e il ricordo dei torti subiti
da parte loro durante la cosiddetta "guerra degli alleati". Con un'adeguata
opera di convincimento, l'oratore riuscì, così, ad inviare rinforzi, a cui Bisanzio e
Perinto dovettero la salvezza. 3 Alla fine, vuoi rivestendo il ruolo di
ambasciatore vuoi intrattenendosi con i Greci in lunghe chiacchierate, con cui infiammava
i loro entusiasmi, riuscì a coalizzare tutti, tranne pochi, nella guerra contro Filippo e
a mettere insieme un contingente composto da quindicimila fanti e duemila cavalieri, senza
contare i forti contributi versati da ogni città; per i soldati mercenari, poi, fu
introdotto di buon grado un compenso adeguato. 4 A un certo punto, però, scrive
Teofrasto, quando gli alleati chiesero che si stabilisse per ciascuno l'entità della
quota da pagare, Crobilo, un capo del popolo, spiegò loro che la guerra non si nutre a
prezzo fisso. 5 Dopo aver indotto la Grecia a ben sperare per gli sviluppi futuri e
aver riunito i popoli e le città di Eubei, Achei, Corinzi, Megaresi, Leucadi e Corciresi,
a Demostene restò da combattere la più ardua delle battaglie: convincere, cioè, ad
aderire al patto di alleanza i Tebani, che abitavano la regione confinante con l'Attica e
vantavano un esercito pronto ad impugnare le armi, oltre a godere tra i Greci ottima fama
di soldati. 6 Ma non era facile far cambiare idea ai Tebani, i cui favori Filippo
si era conquistato ai tempi della guerra focese, concedendo benefici il cui ricordo era
allora ancora troppo recente; tanto più che le continue scaramucce di frontiera
rischiavano ogni volta di riaprire vecchie ferite d'odio tra i due paesi, con pericoli
seri per le città. |
XVIII |
1 Nel frattempo, Filippo, rinfrancato dal
successo ottenuto ad Anfissa, piombò all'improvviso su Elatea ed occupò la Focide. Gli
Ateniesi erano terrorizzati: nessuno aveva il coraggio di salire sul palco a parlare,
perché non si sapeva cosa dire; in assemblea regnava il silenzio e si avvertiva un forte
senso di disagio. Soltanto Demostene osò farsi avanti e sostenne che era ormai necessario
fare affidamento sui Tebani; furono molte le parole di incoraggiamento con cui l'oratore,
com'era suo costume, riaccese le speranze della gente, dopodiché se ne partì alla volta
di Tebe, in compagnia di altri ambasciatori. 2 Secondo quanto dice Marsia, anche
Filippo mandò in sua rappresentanza uomini come Aminta, Cleandro, Cassandro di Macedonia,
Daoco Tessalo e Dicearco, pronti a difendere gli interessi del re. I Tebani erano
perfettamente consapevoli dei vantaggi che una tale situazione garantiva loro, ma ognuno
aveva ancora negli occhi gli orrori della guerra e davvero troppo recenti erano le ferite
del conflitto focese. Nonostante ciò, la potenza delle parole di Demostene, che, come
dice Teopompo, infiammò i loro cuori e risvegliò il loro orgoglio, mise in ombra le
ragioni degli altri, al punto da indurre i Tebani a rimuovere la paura, a trascurare ogni
calcolo e a dimenticare la riconoscenza, rapiti com'erano dal suo discorso che aveva quale
fine l'onore. 3 L'opera dell'oratore colpì nel segno e apparve subito di estrema
importanza; Filippo non perse tempo ed inviò un araldo a chiedere la pace, mentre la
Grecia si sollevava compatta e si preparava ad affrontare qualunque evento futuro.
Disposti ad obbedire alle parole di Demostene non erano solo gli strateghi, pronti ad
eseguire gli ordini, ma persino i capi della confederazione beotica; al suo diretto
controllo si erano affidate anche le assemblee popolari, dei Tebani non meno che degli
Ateniesi, perché la stima di cui godeva allora presso i rispettivi componenti era
altissima ed egli sapeva gestire il suo potere in maniera equilibrata e non priva di
meriti, direi, anzi, con assoluto rispetto delle convenienze: e in questo seguo il
giudizio di Teopompo. |
XIX |
1 Ma un destino voluto dal cielo o forse un concatenarsi di eventi
che, almeno per allora, segnò la fine della libertà greca, parve opporsi all'azione
dell'uomo e lo diede ad intendere con numerosi presagi di ciò che sarebbe avvenuto; tra
questi la Pizia vaticinò tremende profezie e si andò diffondendo un antico oracolo
tratto dai libri Sibillini:
"Possa io esser
lontano dalla battaglia sul Termodonte,
ed assistervi come
un'aquila che si libra nell'aria fra le nubi.
Il vinto piange, ma a
morire è il vincitore".
2 Dicono che il Termodonte sia un fiumiciattolo che scorre dalle mie parti,
a Cheronea, e si getta nel Cefiso. Io, però, non conosco nessun rivo che oggigiorno si
chiami così; presumo che si tratti dell'Emone, che un tempo, magari, veniva detto
Termodonte, anche perché scorre nei pressi del tempio di Eracle, dove si accamparono i
Greci; e ho l'impressione che il fiume abbia cambiato nome quando, durante il
combattimento, si riempì di cadaveri e si tinse del rosso del loro sangue. 3
Duride, invece, sostiene che Termodonte non è un fiume: secondo il suo racconto, alcuni
soldati, mentre stavano piantando una tenda, scavando la terra tutto intorno, avrebbero
trovato una statuetta di pietra; che rappresentasse Termodonte lo si deduceva da alcune
lettere incise sul simulacro, che reggeva sulle braccia un'Amazzone ferita. Inoltre,
ancora su questo argomento, dice che si diffuse un altro oracolo:
"Aspetta la
battaglia sul Termodonte, nerissimo uccello,
e per te ci sarà carne
umana in abbondanza". |
XX |
1 È difficile stabilire come andarono realmente le cose. Demostene,
si racconta, aveva piena fiducia nelle armi dei Greci e si lasciava esaltare alla vista di
questi soldati che, forti e coraggiosi, provocavano i nemici a battaglia. Per tale motivo
non permise che ci si lasciasse influenzare dagli oracoli e si ascoltassero le profezie:
anzi, arrivò a sospettare che anche la Pizia stesse dalla parte di Filippo, ricordando ai
Tebani l'atteggiamento di Epaminonda e agli Ateniesi quello di Pericle: entrambi, diceva,
convinti che gli oracoli fossero solo bassi pretesti per camuffare la viltà degli uomini,
si servivano esclusivamente delle loro capacità intellettive. 2 Fin qui Demostene
si comportò come un uomo di valore; sul campo di battaglia, però, non offrì alcuna
prova di coraggio, contraddicendo, così, il messaggio contenuto in molti suoi discorsi:
si diede addirittura alla fuga dopo aver abbandonato il suo posto, se la svignò in
maniera disonorevole e gettò le armi, senza neanche provare un po' di vergogna, come dice
Pitea, per quella scritta sulla spada, che, a lettere d'oro, augurava: "Buona
fortuna".
3 Subito dopo la vittoria, Filippo, reso pazzo dalla gioia, assunse un
atteggiamento arrogante: completamente ubriaco, reduce da un allegro banchetto, si recò a
vedere i cadaveri e lì attaccò a canticchiare le battute iniziali del decreto di
Demostene, scandendole in piedi e battendo il tempo:
"Demostene, figlio
di Demostene, del demo di Peania, disse ciò";
quando, tuttavia,
passata l'ebbrezza, afferrò di quale entità fosse stata la lotta in cui si era trovato
coinvolto, un brivido gli percorse la schiena: pensò al carisma e alla potenza di
quell'oratore, che lo aveva costretto a mettere a repentaglio il trono e la vita in
qualche breve ora di una sola giornata. 4 Notizia della fama di Demostene giunse
fino al re di Persia; egli, allora, mandò via mare lettere ai suoi satrapi, in cui
ordinava di colmare l'oratore di ricchi doni e di tenerlo in massima considerazione, più
di quanto non avessero mai fatto con altri Greci: era l'unico, infatti, capace di
distrarre il Macedone, tenendolo impegnato con i disordini in terra ellenica. 5
Qualche tempo dopo fu Alessandro a far luce su questi traffici, perché a Sardi rinvenne
alcune missive di Demostene e i registri dei satrapi del re, dove erano annotate le somme
di denaro offerte all'oratore. |
XXI |
1 In séguito, dopo la sconfitta subita
dai Greci, Demostene venne attaccato dai retori di parte avversa, i quali, scagliando
accuse contro di lui, pretendevano il rendiconto della sua condotta politica durante il
conflitto. 2 In quella occasione il popolo lo prosciolse da ogni imputazione e
continuò a rispettarne la figura, invitandolo a partecipare ancora alla vita politica
della città, perché uomo sinceramente legato al bene della sua patria. Infatti, quando
furono rimossi da Cheronea i corpi dei caduti in battaglia e ne venne data sepoltura, gli
fu chiesto di pronunciare lui l'elogio funebre in onore di quei morti; non è, quindi,
vero quanto scrive Teopompo con enfasi tragica, e cioè che gli Ateniesi vissero questa
disfatta abbandonandosi al pianto e alla disperazione: dimostrarono, invece, di non
essersi affatto pentiti di aver seguito i consigli di Demostene, perché gratificarono chi
li aveva spinti a combattere, conferendogli i massimi onori. 3 Demostene, quindi,
pronunciò il suo bel discorso, ma non appose la sua firma ai decreti che fece approvare:
voleva scongiurare la sorte e il suo cattivo genio, diceva, e così si servì a turno del
nome dei suoi amici, finché, alla morte di Filippo, ritrovò il coraggio delle sue
azioni. 4 Il re non visse ancora molto dopo la vittoria di Cheronea; sembra che
proprio a questo alludessero le ultime parole dell'oracolo già citato:
"Il vinto piange,
ma a morire è il vincitore". |
XXII |
1 Demostene fu informato della morte
di Filippo in tutta segretezza; volendo, allora, sfruttare l'occasione per infondere agli
Ateniesi coraggio nel futuro, si presentò in assemblea con il volto raggiante e disse di
aver fatto un sogno che lasciava ben sperare i suoi concittadini. Infatti, non passò
molto che giunsero gli ambasciatori con la notizia della scomparsa di Filippo: 2
sùbito si celebrarono sacrifici per festeggiare la lieta novella e si decretò di donare
una corona a Pausania, l'uccisore del re. 3 Ed ecco che fece il suo ingresso
Demostene, vestito di un abito di colori vivaci e inghirlandato di fiori: da soli sette
giorni gli era morta una figlia e per questo Eschine, che ci tramanda il particolare, ha
parole dure per l'oratore, che accusa di odiare la sua prole. Piuttosto è Eschine a
rivelarsi debole e vile se giudica i pianti e i lamenti manifestazioni di un animo
sensibile e affettuoso, e condanna, invece, chi sopporta dolori, quali la perdita di un
figlio, con serenità e rassegnazione. 4 Da parte mia direi che non fu un gesto di
buon gusto indossare corone e celebrare sacrifici per la morte di un re che si comportò
da uomo mite e generoso con i vinti in battaglia; anzi, oltre a provocare l'ira degli
dèi, è anche da vigliacchi onorare uno finché è vivo, considerarlo addirittura un
proprio concittadino, e poi, una volta morto ammazzato, non riuscire a contenere la gioia
e ballare sul cadavere intonando il peana, quasi ci si fosse fregiati di chissà quale
gloriosa impresa. 5 Io, invece, non posso che lodare Demostene perché, lasciate in
casa alle donne disgrazie, lacrime e pianti, ha fatto ciò che stimava conveniente per la
città; credo che, in effetti, l'uomo tenace, adatto a gestire la politica del paese, ha
sempre come suo unico fine l'interesse comune e sacrifica a questo la sua vita privata con
tutti i suoi problemi (...). Solo così potrà mantenere la sua dignità: ci riuscirà
molto meglio di quegli attori che, quando in teatro interpretano i ruoli di re e tiranni,
non vediamo mai piangere o ridere a loro piacimento, ma sempre nel pieno rispetto del
soggetto del copione. 6 Indipendentemente da queste considerazioni, non è giusto
non curarsi di chi soffre, abbandonandolo al proprio dolore senza recargli un po' di
conforto; occorre, invece, risollevarlo, anche solo a parole, e provare a distrarlo,
richiamando la sua attenzione su pensieri lieti e piacevoli, proprio come ai malati agli
occhi si prescrive di distogliere lo sguardo dai colori vivi e sgargianti per fissare i
verdi e le tinte tenui. Ora, quale migliore conforto per chi è infelice che operare una
sintesi tra le sventure private e i successi della patria, se la patria ha fortuna, per
riconvertire il male in bene? 7 Ho dovuto abbandonarmi a questa breve digressione,
vedendo che il discorso di Eschine, ostile a Demostene, ha commosso e intenerito molti
fino alle lacrime. |
XXIII
|
1 Sobillate da Demostene, le città si
ricostituirono in lega. I Tebani, a cui l'oratore aveva procurato le armi, attaccarono la
guarnigione nemica e massacrarono parecchi soldati, mentre gli Ateniesi si preparavano a
combattere al loro fianco. 2 Demostene, dal canto suo, era ancora signore
incontrastato della tribuna e intanto mandava lettere ai generali del Gran Re in Asia,
istigandoli a muovere laggiù guerra ad Alessandro, che lui di solito chiamava
"ragazzo" o "Margite". Quando, però, il Macedone, sistemate le
faccende di politica interna, si presentò in Beozia scortato da tutto l'esercito, agli
Ateniesi venne meno il coraggio e a Demostene la parola: i Tebani, traditi nell'alleanza,
si ritrovarono a combattere da soli e persero la città. 3 Atene precipitò allora
in uno stato di totale confusione: a Demostene fu affidato l'incarico di recarsi con altri
ambasciatori da Alessandro, ma, temendo l'ira del re, giunto al Citerone, tornò sùbito
indietro e lasciò andare i suoi compagni. 4 Alessandro, allora, mandò
immediatamente a chiamare al suo cospetto dieci oratori, secondo quanto sostengono
Idomeneo e Duride; sarebbero, invece, solo otto per la maggior parte degli storici, per
altro i più attendibili: Demostene, Polieucto, Efialte, Licurgo, Merocle, Demone,
Callistene e Caridemo. 5 In quella occasione Demostene raccontò la storiella delle
pecore che consegnarono i cani ai lupi e paragonò se stesso e gli altri oratori suoi
colleghi a cani che combattono per il popolo; Alessandro il Macedone, invece, lo definì
"un lupo unico nel suo genere". 6 E poi aggiunse: "Talvolta vediamo
i mercanti che hanno magari nel piatto pochi chicchi come campione, eppure da così poco
grano riescono a venderne quantità di gran lunga superiori; in egual misura, se ci
consegnate ai nemici, senza neanche accorgervene firmerete la vostra condanna".
Questo episodio lo riferisce Aristobulo di Cassandra. Gli Ateniesi, nel frattempo, si
erano riuniti a consiglio ed erano incerti sul da farsi; Demade, allora, ricevuti cinque
talenti da quei cittadini che si dovevano consegnare ad Alessandro, accettò di far da
ambasciatore e di intercedere per loro con il re: forse credeva nell'amicizia o forse
sperava di trovare il sovrano già sazio, come un leone che ha quasi fatto indigestione di
prede. Ma chi riuscì a convincere Alessandro ed ottenne la restituzione degli oratori in
ostaggio fu Focione, che ristabilì pure buoni rapporti tra il re e la città di Atene. |
XXIV |
1 Quando, dunque, Alessandro se ne
ritornò in Macedonia, godevano di grande popolarità Demade e Focione, mentre Demostene
non contava più nulla. Ebbe ancora un sussulto quando decise di schierarsi dalla parte di
Agide di Sparta, che stava sollevando una rivolta; poi, però, lo assalì la paura quando
vide che gli Ateniesi non lo seguivano, Agide aveva perso la vita e gli Spartani erano
stati massacrati. 2 In quel tempo fu anche discusso il processo Per la corona
contro Ctesifonte: la denuncia era già stata avanzata sotto l'arcontato di Caronda, poco
prima della battaglia di Cheronea, ma si trattò la causa in tribunale dopo ben dieci
anni, quando arconte era Aristofonte. Nessun discorso pubblico ebbe mai tanta risonanza
sia per la fama di cui godevano gli oratori in causa, sia per l'onestà dei giudici
chiamati ad esprimere il loro parere: essi non votarono contro Demostene, schierandosi
dalla parte dei suoi nemici, uomini allora molto potenti e sostenuti dai Macedoni, ma lo
prosciolsero dall'accusa in maniera così netta che Eschine non ottenne nemmeno un quinto
dei suoi voti. 3 Non solo: decise di andarsene dalla città e visse il resto dei
suoi giorni tra Rodi e la Ionia, insegnando l'arte oratoria. |
XXV |
1 Non passò molto che dall'Asia giunse
ad Atene Arpalo, sfuggito alle ire di Alessandro: accecato dalla propria dissolutezza, era
perfettamente consapevole di essersi messo nei guai e temeva, quindi, le reazioni del suo
re che, per altro, era divenuto intrattabile e crudele persino con gli amici. 2
Arpalo cercò, quindi, riparo presso il popolo e gli si consegnò con tutte le sue
ricchezze e un'intera flotta; gli altri oratori, allora, che avevano adocchiato una simile
fortuna, gli accordarono sùbito il loro aiuto e convinsero gli Ateniesi ad accogliere a
braccia aperte, soccorrendolo, il povero supplice. 3 Demostene, al contrario,
consigliò loro di tener lontano Arpalo e di stare molto attenti a non coinvolgere la
città in una guerra non richiesta e per di più ingiusta. Pochi giorni dopo, però,
mentre si stavano inventariando le sue ricchezze, Arpalo sorprese Demostene che
contemplava una coppa di artigianato barbarico, soffermandosi sugli intagli e sulla forma.
Lo invitò allora, a prenderla in mano e a calcolarne il peso dell'oro. 4
L'oratore, meravigliato della sua pesantezza, chiese quanto potesse valere ed Arpalo con
un sorrisetto gli rispose: "A te frutterà venti talenti". Quella notte,
infatti, senza perdere tempo, gli fece recapitare a casa la coppa, insieme, appunto, ai
venti talenti. 5 Era stato acuto Arpalo a riconoscere l'indole di un uomo così
avido d'oro: gli era bastato cogliere l'espressione diffusa sul volto e le cupide occhiate
rivolte alla coppa. Demostene non disse di no: vinto dal dono, quasi avesse ricevuto in
casa una guarnigione nemica, si schierò tutto dalla parte di Arpalo. E così, il giorno
dopo si presentò in assemblea con il collo ben ben avvolto in bende di lana e quando lo
invitarono ad alzarsi per parlare, fece cenno di no con la testa perché gli mancava la
voce. 6 Alcuni tipi spiritosi, per prendersi gioco di lui, commentarono che non era
stato il mal di gola a colpire il capo del popolo la notte precedente, bensì il male
dell'oro. La folla riunita, allora, venuta a conoscenza del dono di Arpalo, non gli
permise di difendersi né di tentare la via della persuasione; ci fu uno che, alzatosi, lo
derise gridando: "Come, cittadini Ateniesi, non vorrete ascoltare colui che tiene in
mano la coppa?!". 7 Il popolo, per prima cosa, scacciò Arpalo dalla città;
nel timore, poi, che Alessandro esigesse un tornaconto dei beni rapinati dagli oratori,
organizzò una massiccia perquisizione, frugando in tutte le case tranne quella di
Callicle, figlio di Arrenide: 8 fu la sola in cui non si lasciò entrare nessuno,
perché il giovane era fresco di nozze e dentro abitava la sposa, secondo quanto racconta
Teofrasto. |
XXVI |
1 Demostene, mettendo le mani avanti,
propose un decreto secondo cui il Consiglio dell'Areopago doveva aprire un'inchiesta sullo
svolgimento dei fatti e punire le persone che fossero risultate coinvolte nello scandalo. 2
Tra i primi a venir condannati dall'assemblea fu lo stesso Demostene: comparso in
tribunale, fu multato con un'ammenda di cinquanta talenti e gettato in carcere. Dicono che
mal tollerò la prigionia sia perché provava immensa vergogna per la colpa di cui si era
macchiato, sia perché la sua salute vacillava; e così dopo aver eluso parte della
sorveglianza, riuscì a scappare, anche perché alcune sentinelle lo aiutarono a farlo. 3
Secondo quel che si racconta, non era ancora lontano dalla città quando si accorse che lo
stavano inseguendo alcuni suoi nemici; sùbito volle nascondersi, ma quelli, dopo aver
gridato il suo nome, gli si avvicinarono e lo pregarono di accettare le provviste
necessarie per il viaggio: ecco perché portavano con sé denaro, preso da casa, e gli
erano corsi dietro. Lo esortarono a farsi coraggio e a non deprimersi per quanto era
accaduto; Demostene, tuttavia, pianse ancora più forte e tra le lacrime singhiozzò: 4
"Ma come posso tranquillamente sopportare di lasciare una città dove gli avversari
sono tali quali in un'altra non è facile trovare amici?". 5 Nell'affrontare l'esilio si comportò come un debole. Trascorse
la maggior parte del suo tempo a Egina e Trezene, e ogni volta che volgeva lo sguardo
all'Attica, gli occhi gli si inumidivano; di quel periodo si ricordano alcune sue frasi
poco dignitose e per nulla in sintonia con i discorsi così ricchi di baldanza che avevano
contrassegnato la sua vita politica. 6 Ad esempio, si racconta che, mentre si stava
allontanando dalla città, alzò le mani verso l'Acropoli e disse: "Atena signora,
protettrice della città, come possono piacerti queste tre belve crudeli, la civetta, il
serpente e il popolo?". 7 E ai giovani discepoli che si recavano da lui e con
lui trascorrevano un po' del loro tempo, consigliava di lasciar perdere la politica: se
infatti - diceva - agli esordi della carriera gli avessero messo davanti due strade, l'una
che conduceva alla tribuna e all'assemblea, l'altra dritta dritta alla morte, avrebbe
imboccato senza esitare la seconda, se solo avesse previsto mali, paure, gelosie, calunnie
e pericoli della vita pubblica. |
XXVII
|
1 Ma, mentre Demostene si trovava ancora
in esilio, colui del quale parlavo prima, Alessandro, morì e le città greche si
ricostituirono in lega; Leostene, nel frattempo, compiva azioni gloriose e teneva
assediato Antipatro in Lamia. 2 Allora il retore Pitea e Callimedonte, detto
"il Granchio", fuggiti da Atene, passarono dalla parte di Antipatro: infatti,
andando in giro con i suoi seguaci ed alcuni ambasciatori, cercavano di impedire ai Greci
di insorgere e di schierarsi con gli Ateniesi. 3 Ma Demostene, mescolatosi tra gli
invitati della sua città, sfoderò le sue armi e fece il possibile perché i varî centri
muovessero un attacco comune contro i Macedoni e li scacciassero dalla Grecia. 4
Filarco racconta che una volta in Arcadia ci fu uno scontro verbale tra Pitea e Demostene
riuniti in assemblea, perché uno parlava in difesa dei Macedoni, l'altro dei Greci. 5
Pitea, appunto, asserì pubblicamente che, quando una delegazione ateniese faceva il suo
ingresso in una città, doveva trattarsi di una città malata, proprio come quando in una
casa si porta latte di asina; ma Demostene controbatté capovolgendo l'esempio e disse
che, come il latte d'asina è presente quando c'è da guarire un malato, allo stesso modo
gli Ateniesi intervengono per la salvezza dei popoli in pericolo. 6 Il popolo
ateniese si compiacque molto di una risposta tanto pronta e decretò il rientro per
Demostene. Ad avanzare la proposta fu Demone, del demo di Peania, cugino dell'oratore, a
cui fu sùbito inviata una triremi ad Egina. 7 Quando l'esule salì in città dal
Pireo, all'appello non mancava nessuno: non c'erano solo gli arconti e i sacerdoti, ma
anche tutti gli altri cittadini che gli andarono incontro e lo accolsero con molto
affetto; a questo proposito scrive Demetrio di Magnesia che Demostene, alzate le mani al
cielo, si dichiarò felice di quel giorno, perché il suo rientro in Atene era stato più
glorioso di quello di Alcibiade: lui non aveva costretto con la forza i suoi concittadini
ad accoglierlo, ma li aveva convinti comportandosi rettamente. 8 La multa che
doveva pagare non gli fu cancellata (non era possibile ottenere il condono), ma si cercò
una scappatoia per eludere la legge. A chi si occupava di allestire l'altare nei riti
sacrificali a Zeus Salvatore, di norma si forniva il denaro necessario: quella volta
toccò a Demostene ricevere la somma per provvedere all'incarico, proprio quei cinquanta
talenti pari all'ammontare dell'ammenda. |
XXVIII
|
1 Per poco tempo Demostene poté godere
del rientro in patria; infatti, il delicato equilibrio politico raggiunto dai Greci si
spezzò presto: nel mese di Metagitnione ci fu la battaglia di Crannone, in quello di
Boedromione entrò in Munichia il presidio macedone, nel Pianepsione, infine, Demostene
morì nel seguente modo. 2 Non appena corse la notizia che Antipatro e Cratero
stavano marciando contro Atene, quelli del partito di Demostene, prevenendoli, fuggirono
dalla città e il popolo, fatto firmare a Demade il decreto, li condannò a morte. 3
Gli esuli si sparpagliarono ovunque; Antipatro, allora, sguinzagliò i suoi uomini che li
cercassero e mise loro a capo Archia, soprannominato "l'Acchiappafuggiaschi". A
proposito di questo Archia, si racconta che, originario di una famiglia di Turi, in
gioventù fosse stato un attore tragico e che l'egineta Polo, in assoluto il migliore
sulle scene, fosse stato suo allievo. Ermippo, inoltre, ascrive Archia tra i discepoli del
retore Lacrito, mentre Demetrio aggiunge che appartenne alla scuola di Anassimene. 4
Comunque, costui riuscì a scovare l'oratore Iperide,225 Aristonico di Maratona e Imereo,
fratello di Demetrio Falereo, che si erano rifugiati ad Egina nel tempio di Eaco: li
inviò, così, ad Antipatro, che si trovava a Cleone, e là furono uccisi, anzi si
racconta che a Iperide fu strappata la lingua mentre era ancora vivo.
|
XXIX |
1 Archia venne, poi, a sapere che
Demostene si trovava a Calauria, supplice del tempio di Poseidone; attraversò, quindi,
quel braccio di mare con piccole barche a remi e, sbarcato con lancieri traci, lo invitò
ad alzarsi in piedi e a recarsi con lui da Antipatro, promettendogli che non gli avrebbe
fatto nulla di male. 2 Ma Demostene, quella notte, aveva avuto in sogno una strana
visione: gli era parso di gareggiare con Archia nel rappresentare una tragedia, ma, mentre
aveva la meglio ed aveva conquistato l'attenzione del pubblico, usciva sconfitto per colpa
di una regia e di un allestimento scenico insufficienti. 3 Archia era lì che
parlava, parlava e lo allettava con parole piene di affetto: e Demostene, tenendo fisso lo
sguardo su di lui, sempre restando seduto, gli disse: "Tu, Archia, non mi hai
convinto quando recitavi e non mi convinci adesso che fai promesse". Archia, allora,
andò su tutte le furie e passò alle minacce. "Ora sì che parli come ti ispira
l'oracolo macedone", disse Demostene, "prima, invece, stavi solo recitando.
Aspetta un attimo, che mando due righe ai miei familiari". 4 Detto ciò, si
ritirò dentro il tempio; e lì, quasi volesse scrivere davvero, prese un foglio di papiro
e accostò il calamo alla bocca, come faceva abitualmente quando rifletteva su cosa
scrivere. Attese così qualche tempo, poi si coprì il capo con il mantello e abbassò la
testa. 5 Le guardie, schierate davanti alle porte, si prendevano gioco di lui,
accusandolo di avere paura, e lo chiamavano imberbe femminuccia. Archia, sopraggiunto
nella stanza, gli ordinava di alzarsi e di nuovo ripeteva i soliti discorsi,
promettendogli la riconciliazione con Antipatro. 6 Il veleno incominciava ad avere
effetto: Demostene si accorse che si stava paralizzando e si scoprì il capo; poi, con lo
sguardo sempre fisso su Archia, gli disse: "Non perderai certo l'occasione di
recitare la parte di Creonte in questa tragedia e di gettare via il mio corpo insepolto.
Poseidone, amico mio, mi ritiro ancora vivo dal tuo tempio, che non si è conservato puro
per colpa di Antipatro e dei Macedoni". 7 Così parlò e ordinò che lo si
sostenesse, mentre già tremava e non si reggeva più sulle gambe; a stento uscì dal
tempio e, arrivato sull'altare, cadde: con un gemito esalò l'ultimo respiro. |
XXX |
1 Aristone sostiene che Demostene, come
si è detto, si avvelenò morsicando il calamo; un certo Pappo, invece, di cui riassunse
l'opera Ermippo, attesta che, quando l'oratore crollò presso l'altare, furono rinvenute
su un foglio le prime due parole di una lettera indirizzata da "Demostene ad
Antipatro", e nient'altro. 2 Ci si stupì per la rapidità di quella morte:
Traci di guardia alle porte raccontarono che prese in mano il veleno, avvolto in una
benda, e, accostatolo alla bocca, lo bevve con avidità; sùbito credettero che fosse oro
ciò che aveva inghiottito, ma un'ancella al suo servizio, interrogata dagli uomini di
Archia, rivelò che già da parecchio tempo Demostene portava con sé quel sacchettino,
quasi fosse un amuleto. 3 Anche lo stesso Eratostene dice che conservava il veleno
in un cerchietto cavo all'interno, come una specie di braccialetto che teneva al braccio. 4
Non è ora necessario elencare qui le differenti versioni che del fatto hanno dato tutti
gli altri - e sono davvero molti -: vale però la pena di ricordare la testimonianza di
Democare, un parente di Demostene, che crede che a strappare l'oratore dal crudele
infierire dei Macedoni non sia stato un veleno, ma la generosa provvidenza degli dèi, che
gli diedero una fine veloce e indolore. 5 Morì il 16 del mese di Pianepsione, nel
giorno più triste delle Tesmoforie, che le donne trascorrono a digiuno presso la dea.
Poco tempo dopo la sua morte, il popolo ateniese gli concesse un degno riconoscimento: gli
dedicò, infatti, una statua di bronzo e decretò che il maggiore dei suoi figli fosse
mantenuto a pubbliche spese nel Pritaneo; inoltre, fece incidere sul piedistallo del
simulacro questo notissimo epigramma:
"Se tu, Demostene,
avessi avuto forza pari ad intelletto,
l'Ares dei Macedoni non
avrebbe spadroneggiato sui Greci".
6 Chi dice che sia stato proprio Demostene a scrivere queste parole, mentre
a Calauria era lì lì per avvelenarsi, ebbene, dice solo sciocchezze. |
XXXI |
1 Poco prima che passassi io per Atene,
narrano che sia successo quanto sto per raccontare. Un soldato, chiamato in giudizio dal
suo comandante, andò a depositare i suoi poveri risparmi nelle mani della statua; 2
Demostene, infatti, è raffigurato in posizione eretta e con le dita intrecciate tra loro.
Lì vicino c'era un bel platano, non tanto grande: molte delle sue foglie, o perché così
casualmente le spingeva il vento o perché era stato il soldato a mettercele sopra per
occultare il denaro, tennero nascosto con le loro fronde quell'oro per un bel po' di
tempo. 3 Quando l'uomo tornò indietro per riprendersi il gruzzolo, lo ritrovò; la
notizia si sparse in un baleno e parecchi buontemponi, presa la palla al balzo, fecero a
gara nel comporre epigrammi sul tema: l'incorruttibilità di Demostene.
4 A Demade non restò ancora molto tempo per godere della sua odiata fama:
la vendetta di Demostene, infatti, lo spinse nelle fauci dei Macedoni, che, seppur da lui
bassamente corteggiati, furono, come è giusto, responsabili della sua morte. Già da
prima lo detestavano, ma poi egli fornì loro un motivo per odiarlo al punto da volerne la
fine. 5 Venne, infatti, resa nota una lettera che Demade aveva scritto a Perdicca
per invitarlo a muover guerra alla Macedonia ed aiutare, così, il popolo greco, appeso ad
un filo vecchio e marcio - alludeva ad Antipatro. 6 Ad accusarlo fu Dinarco di
Corinto; Cassandro, montato in collera, gli uccise il figlio tra le braccia e poi ordinò
che anche lui fosse ucciso: gli dimostrò, così, a sue spese (e con la massima sventura),
quanto Demostene gli aveva spesso profetizzato, senza essere, per altro, creduto: che i
traditori anzitutto vendono se stessi.
7 Ecco, quindi, Sosio, la vita di Demostene, scritta per conoscenza diretta
dei fatti e per sentito dire. |
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