CICERONE

LA VITA E LE OPERE Marco Tullio Cicerone nacque nel 106 a.C., da famiglia di ceto equestre (cioè aveva un reddito di almeno 125.000 sesterzi). Trasferitosi a sedici anni a Roma, ricevette un’ottima preparazione politica ed oratoria, e si dedicò ben presto all’attività di avvocato, utile per mettersi in evidenza e gettare le basi di una carriera politica. 

Egli era però un homo novus (uomo nuovo, cioè non appartenente ad una famiglia che potesse vantare fra i propri avi almeno un senatore); questo condizionò, almeno in principio, le sue scelte.
Cicerone esordì nel foro con l’orazione Pro Quinctio (= in difesa di Quinzio ), nell’81 a.C.: da questo momento in poi l’attività di avvocato e oratore e la carriera politica furono strettamente connesse. Spesso infatti, Cicerone adattò le sue scelte di avvocato alle opportunità politiche: così, per esempio, dopo essere stato questore in Sicilia nel 75, sostenne nel 70 le accuse contro l’ex governatore della provincia, Verre, e ottenne la sua condanna, ma l’anno dopo difese da accuse analoghe Fonteio, ex governatore della Gallia Narbonese. Si guadagnò per questo il disprezzo di Catullo (carme 49: clicca qui per leggerlo), che ironicamente lo definisce "optimus omnium patronus" (= "il migliore avvocato... di tutti!").

LA CARRIERA POLITICA La fama raggiunta in campo giuridico e la capacità di sostenere la causa di cavalieri benestanti senza inimicarsi i senatori gli aprirono la strada verso le carriere politiche più alte, fino al consolato del 63 a.C., durante il quale stroncò la congiura di Catilina, pronunciando le celebri orazioni politiche Catilinarie

La concordia dei benpensanti realizzata negli anni del consolato, durò poco, per l’intransigenza dell’ala reazionaria del senato, per la mentalità affaristica dei cavalieri, per l’inclinazione dei potenti come Pompeo a favorire le richieste demagogiche dei populares. Nel 60 fu offerto a Cicerone di entrare a far parte del primo triumvirato, ma egli non aderì, per scrupoli legalitari e per timore di apparire come un traditore agli occhi dei conservatori. Così rimase tagliato fuori dal gioco politico, e fu la prima vittima delle vendette dei democratici, il cui esponente più oltranzista era in quegli anni il tribuno della plebe Publio Clodio Pulcro, nemico giurato di Cicerone, che fece votare contro di lui una legge, in base alla quale chiunque avesse mandato a morte dei cittadini romani senza appello al popolo sarebbe stato esiliato. Era precisamente il caso di Cicerone, che aveva fatto giustiziare i catilinari con un processo sommario. Esiliato nel 58, rientrò a Roma l’anno dopo, ma ormai destinato ad un ruolo secondario. Con alterne vicende intervenne nella politica, per lo più appoggiando la linea di Pompeo, dalla cui parte si schierò, seppur dopo molte esitazioni, in occasione della guerra civile contro Cesare (49 – 45 a.C.).

Tornato a Roma dopo la vittoria del suo avversario, Cicerone ne ottenne il perdono, ma con il divieto di occuparsi di politica attiva. Morto Cesare nel 44, Cicerone credette di poter tornare ad occupare un posto di primo piano nella vita politica Romana: non si accorse però di essere nelle mani dell’appena diciannovenne ma abilissimo Ottaviano, in cui egli riponeva una incauta fiducia. Cicerone con le sue orazioni Filippiche attaccò Antonio, ma questi si accordò con Ottaviano e Lepido, concludendo il secondo triumvirato. L’oratore venne quindi lasciato in balia del suo nemico, che lo fece assassinare il 7 dicembre del 43 a.C.

Plutarco ci racconta che Antonio fece tagliare all'oratore la testa, le mani e la lingua (ree di avere rispettivamente pensato, scritto e pronunciato le Filippiche), tenendo la testa sul proprio tavolo a mo' di fermacarte, finché il fetore della decomposizione non gli divenne insopportabile.

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